Un gancio al Parkinson. Perché certe malattie vanno prese di peso e con la giusta veemenza, proprio come farebbe un boxeur sul ring. Senza però mai dimenticare la qualità di vita del paziente e dei suoi familiari. L’associazione Un gancio al Parkinson nasce quindi nel 2018 con l’intento di portare in Italia un metodo terapeutico americano dall’approccio innovativo, che utilizza cioè gli allenamenti del pugilato per contrastare i sintomi di questa grave patologia neurodegenerativa.
«Recenti studi dimostrano che l’attività motoria per i malati di Parkinson sia salutare, purché sia di alta intensità. E la boxe ha queste caratteristiche» ci ha raccontato il dottor Maurizio Bertoni, ortopedico, direttore sanitario di Training Lab e presidente dell’associazione. È stato proprio Bertoni, qualche tempo fa, il fortunato testimone di un allenamento alla Gleason Gym di New York, durante il quale un trainer insegnava a dei malati di Parkinson a boxare. Da lì, l’intuizione: perché non portare anche in Italia un metodo del genere e favorire così la socializzazione del paziente e un miglioramento, fisico e psicologico della sua condizione? Realizzare questo sogno è diventato in breve tempo una missione possibile.
Maurizio Bertoni, a destra, affiancato dall’attuale Assessore al Welfare della Regione Toscana, Stefania Saccardi
Un gancio al Parkinson e alla depressione
Quando si parla di morbo di Parkinson si hanno ben chiare le difficoltà che i pazienti devono affrontare: tremori diffusi, irrigidimento muscolare, difficoltà a parlare. La malattia ha colpito molti personaggi celebri come papa Giovanni Paolo II, il protagonista di Ritorno al futuro, Michael J. Fox e la leggenda del pugilato, Muhammad Ali.
«I pazienti migliorano dal punto di vista dell’equilibrio, della forza e dell’agilità. In più, a livello psicologico, gli allenamenti combattono la depressione e alzano il tono dell’umore. Anche in famiglia il paziente è collaborativo, socializza e l’assistenza è agevolata. L’attività funziona per tutti gli stadi, di media o alta gravità. Escludiamo solo i pazienti nello stadio finale, quando è impossibile muoversi. I nostri 40 attuali pazienti hanno tutti molta voglia di ripartire» ha continuato il dottor Bertoni.
Guarda il video di Muhammad Ali ad Atlanta ’96
Da New York a Firenze
Due volte a settimana, nel Training Lab di Firenze, i pazienti, uomini e donne di età compresa fra i 50 e i 75 anni, vengono allenati da coach professionisti che propongono degli esercizi mirati per il recupero della coordinazione e del tono muscolare: colpi ripetuti al sacco e lavoro coi pesi, salti con la corda, stretching, attività cardio e via di seguito. Ogni allenamento viene cucito su misura per il paziente in modo da assecondare le loro specifiche esigenze.
Un modo efficace, questo, per riversare nel workout le energie non ancora indebolite dal Parkinson, ma soprattutto un’occasione di socialità che si rivela essenziale per i diretti protagonisti e che è stata garantita anche durante i mesi della quarantena. «Abbiamo creato delle lezioni su YouTube che i pazienti hanno potuto ripetere anche tutti i giorni» ha concluso Bertoni.
Il Parkinson in pillole
In Italia sono circa quattrocentomila le persone affette dalla malattia.
Si sta abbassando l’età media dei pazienti che in molti casi insorge tra i 40 e i 58 anni.
La boxe può essere d’aiuto per il trattamento del Parkinson perché migliora equilibrio, forza e agilità.
Con un piccolo versamento si può acquisire la tessera dell’associazione Un gancio al Parkinson e contribuire all’acquisto di macchinari importanti.
Qualche giorno fa l’ex stella della Superbike, Pierfrancesco Chili ha dichiarato di avere il Parkinson. «È stata una bella botta, ma io sono un pilota e i piloti si rialzano finché hanno vita», ha detto.
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